A cura della Dott.ssa Alessia Ranieri, dietista di Lilium via Roma 62, Cuneo
L’importanza dell’alimentazione dallo svezzamento ai primi anni di vita
L’alimentazione costituisce all’interno dello sviluppo del bambino un pilastro fondamentale.
Nutrire un bambino in questa fascia d’età persegue infatti due obiettivi:
- A BREVE TERMINE: soddisfare in maniera adeguata il fabbisogno del bambino in termini di energia, di macro e micronutrienti;
- A LUNGO TERMINE: fare in modo che il bambino impari a mangiare una grande varietà di cibo e sviluppi un rapporto con esso il più sereno possibile, sviluppando così delle sane abitudini alimentari che si porterà dietro nel futuro e favorendo di conseguenza tutte quelle correlazioni positive per la salute e il benessere psico-fisico.
Chiaramente, come per ogni età, anche questa comporta delle sfide: l’importante è tuttavia salvaguardare la relazione che si crea intorno al cibo tra il bambino e chi si occupa di nutrirlo favorire così una crescita e uno sviluppo salutari.
Durante i primi anni di vita, in particolar modo durante lo svezzamento, il mangiare viene visto dal bambino come un momento di scoperta: il bambino è spinto a conoscere i nuovi alimenti che gli si propongono, le nuove consistenze, i nuovi sapori… Dopo l’anno, in particolar modo nella fascia 2-6 anni, si può manifestare invece la NEOFOBIA ALIMENTARE, ovvero la paura di mangiare cose nuove, che può portare ad una diminuzione quanti e qualitativa di ciò che il bambino mangia. Perché compare?
- Processo naturale dettato dall’evoluzione e istinto di conservazione: preferenza innata per il gusto dolce, in quanto correlato a fonte energetica, e naturale avversione per il gusto amaro (come quello di molte verdure), in quanto ai tempi dei nostri antenati tendenzialmente legato a cibi nocivi e pericolosi. Il bambino ha quindi una tendenza innata a incasellare il cibo in base a come si presenta, per odore, gusto, in quanto ciò può salvaguardarne la salute;
- Gusti e preferenze alimentari;
- Scarsa variabilità della dieta in famiglia: da ricordare sempre che l’educazione del bambino passa anche attraverso l’esempio. Il bambino osserva le nostre reazioni al cibo, i nostri atteggiamenti e ne viene chiaramente influenzato;
- Risposta a determinati eventi (stress, traumi…)
Spesso questa situazione è fonte di notevoli preoccupazioni per i genitori, che hanno delle aspettative verso quanto il bambino dovrebbe mangiare e che di conseguenza vivono il rifiuto del bambino in prima persona, come qualcosa di sbagliato. Ciò spesso si traduce in comportamenti controproducenti, come forzature e pressioni sul bambino, che determinano ulteriori resistenze, in un circolo vizioso.
È importante fare quindi una sorta di divisione delle responsabilità.
L’adulto ha la responsabilità di educare il bambino ad una alimentazione sana varia, e bilanciata. Ciò si traduce con:
- fare una spesa adeguata, quindi portare in casa un’ampia varietà di cibo genuino, naturale e minimamente lavorato. Scegliere frutta e verdura fresca e di stagione di vario tipo e colore. Far conoscere i vari tipi di cereale. Portare nel piatto un’ampia varietà di fonti proteiche, dalla carne, al pesce, ai legumi, latticini, uova e via dicendo;
- cucinare il cibo in maniera appropriata per l’età e in termini di buona educazione alimentare. Piatti semplici, non eccessivamente conditi, specialmente per quanto riguarda sale e zucchero, così che possano conoscere il gusto effettivo degli alimenti.
L’adulto ha inoltre la responsabilità di definire:
- una routine alimentare, che permette di sviluppare adeguatamente il ciclo fame-sazietà e far capire al bambino che ci sono momenti più indicati per mangiare più o meno cibo;
- regole su come comportarsi a tavola, ossia insegnare l’importanza di stare seduti a tavola con la famiglia al momento del pasto, trasmettere la convivialità del pasto, il suo essere un momento di condivisione, di stare bene con gli altri;
- Tutto ciò si traduce quindi nella responsabilità di creare un clima sereno attorno al cibo, in cui il bambino possa svilupparsi in modo positivo.
È il bambino invece ad avere la responsabilità di quanto cibo mangia e se mangiarlo oppure no.
La fame, infatti, non è una cosa standard: è diversa ogni giorno, fluttua a seconda dei periodi ed è influenzata dallo stato di salute, sia fisico che psicologico, del bambino. Consideriamo anche che fino ai 2 anni il bambino vive uno scatto di crescita, di massimo sviluppo, ma tra i 3-6 anni questa crescita rallenta e diventa più stabile e costante: proporzionalmente il bambino ha bisogno di mangiare meno. L’aspettativa dei genitori è che non mangi abbastanza: ciò si deve da un lato a difficoltà nel farsi un’idea di porzione adeguata al bambino, che è chiaramente diversa dalla nostra, dall’altro a difficoltà nel cogliere i segnali di fame e sazietà espressi dal bambino e di reagire di conseguenza (quello che si chiama atteggiamento responsivo).
Per far fronte a queste preoccupazioni gli atteggiamenti più spesso messi in atto dai genitori sono:
- PERMISSIVO/LASSIVO: soddisfare tutti i desideri e le richieste purché mangi e quindi proporre cibi nutrizionalmente poco adeguati. Ciò avviene ad esempio molto spesso negli spuntini dove viene semplici ricorrere a merendine confezionate, in quanto molto apprezzate per il loro gusto molto dolce o molto salato.
- AUTORITARIO: metodi coercitivi ed intimidatori, premi, punizioni, ricatti, che tuttavia determinano in realtà resistenze sempre più importanti da parte del bambino e lo sviluppo di un rapporto poco sereno con il cibo.
Quindi come comportarsi?
Evitare di usare pressioni, forzature o ricatti, così come “leve” motivazionali esterne (es. Fallo per la mamma o Fallo per il papà) o leve emotive (es. Mi rendi triste o Piango se non lo mangi). Non usare distrazioni per imboccare “a forza”. Non escludere il cibo definitivamente perché il bambino l’ha rifiutato. E assolutamente evitare di rendere il clima teso.
Fare invece leva sul fatto di vivere il pasto come un momento di condivisione con la famiglia, Instaurare un clima sereno, in cui il bambino sia anche libero di esplorare il cibo, di manipolarlo. Se il bambino rifiuta qualcosa provare a riproporglielo in volte successive, in diverse preparazioni, in associazione ad alimenti per lui piacevoli.
Proporre piatti piacevoli anche alla vista. Vivere il cibo con il bambino, coinvolgerlo nelle preparazioni, quasi come a giocare insieme e vedere come il cibo si trasforma prima di arrivare nel piatto.
Ma soprattutto ricordarsi che i bambini imparano osservando chi gli è vicino: l’esempio che diamo, come ci comportiamo di fronte al cibo, come interagiamo con gli alimenti, le nostre espressioni valgono più di mille parole!