Lilium – Spazio Medico

Gian Burrasca o ADHD? Distinguere, Comprendere, Sostenere

A cura della Dott.ssa Silvia Re, Psicologa Psicoterapeuta specializzata in Età Evolutiva
in Lilium Spazio Medico, via Roma 62 Cuneo

Gian Burrasca o ADHD? Distinguere, Comprendere, Sostenere

All’inizio del Novecento comparve un racconto a puntate che sarebbe poi diventato un libro celebre e un film iconico: Il giornalino di Gian Burrasca. La storia, narrata in prima persona dal protagonista, Giovannino Stoppani, alias Gian Burrasca, un vivace bambino di nove anni, si sviluppa sotto forma di diario. Qui, l’autore ci trascina tra le sue avventure e disavventure, in un susseguirsi di marachelle che mandano in crisi la pazienza dei suoi famigliari. Tanto che “Gian Burrasca” è diventato nel tempo sinonimo di monello, di combinaguai, di bambino sempre in movimento.

E poi c’è Pierino la peste, personaggio delle barzellette che richiama, con il suo spirito indomabile, l’immagine del bambino sempre pronto a sfidare le regole e a cacciarsi nei guai. La letteratura per l’infanzia, del resto, abbonda di figure di questo genere: bambini vivaci, furbi, avventurosi, che combinano di tutto e di più. Come dimenticare Pippi Calzelunghe, i piccoli protagonisti delle storie del Cuore, Kim di Kipling o Le avventure di Tom Sawyer di Twain? E la lista potrebbe continuare all’infinito!

Questi personaggi letterari hanno varcato i confini della narrativa per approdare anche nei racconti per adulti. Qui, i genitori narrano in chiave biografica o romanzata la propria esperienza di vita accanto a figli esuberanti e complessi. Un titolo su tutti: Le parole fra noi leggere della “nostra” Lalla Romano.

“Va bene, ma sono solo romanzi!”, qualcuno potrebbe obiettare. Eppure, è impossibile non identificarsi in quelle pagine. Pensiamo a una scena quotidiana qualunque: il nostro bambino inizia un capriccio in pubblico, magari al supermercato o al parco giochi. Noi siamo stanchi, abbiamo fretta, vorremmo solo tornare a casa. La pazienza è già esaurita e il piccolo insiste: vuole un gioco, un dolce o semplicemente rimanere a giocare ancora un po’. Forse il suo desiderio è persino comprensibile, ma non in quel momento, non in quel modo.

Maria Montessori ci ricorda che quelli che chiamiamo capricci non sono altro che difficoltà di comunicazione: il bambino esprime un bisogno o un desiderio del tutto logico e naturale, ma il suo modo di farlo non si allinea con le nostre necessità. “Bisognerebbe fermarsi, avere pazienza e capire cosa sta accadendo”, ci dicono. Sembra facile, vero?

Immaginiamoci la scena: un bambino che fa le bizze, un genitore esausto che cerca una soluzione, e attorno gli occhi degli osservatori. Occhi che giudicano. “Quel bambino è capriccioso, viziato, male educato: meriterebbe una punizione”. E subito il giudizio colpisce anche il genitore: “Incapace, pessimo educatore, non sa farsi rispettare nemmeno dal proprio figlio”.

Ma la realtà è più complessa. Da una parte, un bambino in difficoltà, incapace di gestire le proprie emozioni, le regole, i limiti. Dall’altra, un genitore che si sente inadeguato, sopraffatto dai sensi di colpa, convinto che solo il proprio figlio si comporti così. E invece no: tanti bambini faticano a regolare il proprio comportamento. Non è colpa della famiglia, né della scuola, come spesso si tende a pensare.

Già Ippocrate osservava bambini con caratteristiche che oggi assoceremmo al disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Le prime descrizioni cliniche moderne risalgono alla metà dell’Ottocento. Tuttavia, mentre la scienza iniziava a riconoscere queste difficoltà come un problema clinico, la società continuava a vederle come difetti da correggere con forza e punizioni.

Oggi sappiamo che difficoltà di attenzione, iperattività e impulsività fanno parte di un disturbo del neurosviluppo: l’ADHD. Questo disturbo influisce profondamente sulle attività quotidiane – scuola inclusa – e sulle relazioni con coetanei e adulti. Le cause? Non del tutto note, ma certamente complesse e multifattoriali.

L’ADHD non è un problema educativo e, per affrontarlo, serve un intervento integrato. Per prima cosa, è essenziale una diagnosi accurata, ma non basta fermarsi lì: la vera sfida è la presa in carico: un intervento a più livelli che coinvolge tutti gli attori del processo educativo. Genitori, insegnanti e specialisti devono lavorare insieme per costruire un percorso su misura, focalizzato su ciò che è più necessario per il bambino: migliorare la gestione dei compiti? Aumentare i tempi di attenzione? Ridurre i comportamenti oppositivi? Rafforzare le abilità sociali?
Ogni azione va calibrata, con al centro sempre il bambino: le sue difficoltà, sì, ma anche le sue risorse
. Allo stesso tempo, è fondamentale sostenere i genitori e creare un dialogo costruttivo con la scuola. Questo lavoro corale e a 360 gradi è ciò che può davvero fare la differenza! Perché quel bambino, un giorno, sarà un adulto. Un adulto che avrà imparato a gestire le proprie sfide, a trovare strategie, a vivere bene.

E tutto questo sarà possibile grazie a noi genitori, che lo avremo accompagnato con amore, pazienza e consapevolezza nel suo percorso di crescita.

E allora, torniamo alla domanda iniziale: Gian Burrasca era un bambino iperattivo o semplicemente irrequieto e monello? In altre parole: come distinguere un bambino vivace, brillante, amante del movimento e dell’avventura, da un bambino con difficoltà cliniche legate all’iperattività e alla disattenzione? È una domanda cruciale. Distinguere un piccolo esploratore, pieno di vita e voglia di scoprire, da un bambino che affronta sfide più profonde, non è semplice. Richiede attenzione, delicatezza e una visione chiara. Ma una cosa è certa: ogni bambino è un universo unico, ricco di difficoltà ma anche di straordinarie potenzialità. E il nostro compito, come genitori, educatori, terapeuti, esseri umani, è aiutarlo a brillare. Sempre.

Dott.ssa Silvia Re
Psicologa Psicoterapeuta

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